La fatica della cura: resilienza ed empatia nelle professioni di aiuto. Di Floriana De Michele, Psicologa Psicoterapeuta, Avezzano e L’Aquila
La cura, intesa come quella profusa da tutto il personale di aiuto impegnato nel lavoro rivolto verso pazienti sofferenti o anche terminali, costa fatica e provoca una forma di esaurimento fisico ed emotivo che va sotto il nome di burnout.
Insomma, professionisti il cui lavoro comporta forti implicazioni relazionali ad un certo punto della loro carriera lavorativa iniziano a vivere una crisi di valori, di dignità e di volontà che influenza negativamente tutta la loro vita: “scoppiano”, per usare un eufemismo! Di questa cosa pare se ne fosse accorta per primo Christina Maslach, che ne parlò nel 1976.
L’esaurimento psicofisico si origina dalla fatica psicofisica che la compassione per il proprio simile comporta. La com-passione, cioè la passione che nasce nella relazione tra l’essere umano che cura e l’altro bisognoso della sua opera, obbliga il professionista inconsciamente, ma anche razionalmente, a coinvolgersi in tutti quegli aspetti umani per cui si richiede l’aiuto o l’intervento in modo continuativo.
L’attività di cura consiste proprio in un comportamento di premura, di attenzione, di provvedimento alle necessità primarie e più urgenti della persona. Praticare una professione di cura richiede, quindi, una forte carica umana che si manifesta tramite l’atteggiamento emotivo di empatia che consiste nella capacità di comprendere immediatamente lo stato d’animo o la situazione emotiva di una persona diversa da se, senza ricorrere a metodi comunicativi particolari.
H. Kohut definisce l’empatia come la condizione naturale dello sviluppo del bambino attraverso il passaggio in fasi narcisistiche.
Il bambino si percepisce in queste fasi e si relaziona con gli altri in una forma “grandiosa” e onnipotente trovando solitamente nei genitori o comunque nelle figure di accudimento un “rispecchiamento empatico”, in mancanza del quale la grandiosità si ripresenterà in forma patologica nell’individuo adulto.
Le professioni sanitarie (infermieri, personale paramedico, medici, psicologi), ma anche tutte le professioni che operano nel sociale, a contatto con le famiglie problematiche o con anziani bisognosi, sembrano risentire maggiormente dello stress lavorativo dovuto al burnout.
Occuparsi di malattie significa contenere la sofferenza tramite un impegno di cura fisica, psicologica ed accuditiva che può avvenire solo tramite un atteggiamento empatico. Il rispecchiamento emotivo, tuttavia, porta il professionista a sentire e a pensare alla sofferenza dell’altro come se fosse la propria sofferenza, e quindi a vivere una forma di affaticamento del sentimento di empatia nei confronti del malato.
L’empatia, dunque, è l’aspetto necessario per poter svolgere una professione di cura, ma è anche ciò che può mettere in crisi gli operatori della salute, portandoli a vivere un disagio morale (“moral distress”), cioè uno squilibrio psicologico in cui la propria etica spingerebbe ad intraprendere determinate azioni nei confronti dei pazienti, che non possono essere attuate per via di vincoli regolamentari o istituzionali (vedi accanimento terapeutico o nei casi peggiori, come la cronaca degli ultimi mesi riporta, il comportamento criminoso di infermieri o medici nei reparti ospedalieri).
Lo stato di disagio vissuto dai professionisti della cura è spesso vissuto con un atteggiamento di vittimismo, altre volte in forma conflittuale in quanto le condizioni ambientali fatte di limitazioni e burocrazia istituzionale impediscono di portare anche piccoli cambiamenti. Si rende, dunque, sempre più necessario porre l’attenzione verso il bisogno d’aiuto di queste professioni e trasformare questa apparente debolezza in una fortificazione, un progressivo adattamento alla situazione. Attraverso il lavoro psicologico attuato con uno psicologo si può aumentare la consapevolezza delle proprie risorse emotive e delle risorse ambientali lavorative, trasformando così la resistenza in resilienza.
Questo termine indica infatti la capacità di trasformare una esperienza stressante (e dolorosa) in un processo di crescita , per riorganizzare il proprio lavoro ed il proprio ruolo, ma ciò può avvenire solo tramite un percorso di ricerca e di supervisione psicologica continua del lavoro svolto dal singolo professionista e del gruppo lavorativo istituzionale nel quale è inserito.
Dott.ssa Floriana De Michele
Psicologa Psicoterapeuta
riceve ad Avezzano e L’Aquila
cell. 3391249564